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LA TERRA CI GUARDA



Un simbolo che viene da lontano


Quando l'uomo disegna qualcosa, lo fa per essere letto da terra. Conosco una sola eccezione a questa regola, sono le gigantesche immagini scoperte a Nazca nel Perù grazie alla possibilità di vedere dall'alto degli aeroplani. Figure misteriose che si pensa fossero funzionali ad entità extraterrestri perché, quando furono tracciate, non avevamo ali per staccarci da terra.
Per restare nella preistoria, in Sardegna abbiamo un simbolo forte e dolce (alato come il colibrì di Nazca) che si perde nel tempo, la Pavoncella, un uccello fantastico non meglio identificato.


L'immagine è simbolo di fertilità ed è raffigurata da protagonista assoluta in quasi tutti gli oggetti artigianali, la troviamo nelle cassapanche, nelle ceramiche, nei tessuti e perfino nel pane candido della festa.
La Pavoncella è, in assoluto, il simbolo più presente ed i suoi tratti sono radicati a ferro nella nostra cultura. Potrebbe essere l'emblema regionale, ben più sentito e propizio rispetto ai Quattro Mori che quasi tutti i Sardi avvertono estraneo e legato ad avvenimenti cruenti. Purtroppo l'uomo ha priorità di valori strane, solo le guerre cambiano le bandiere.
Il fatto che la Pavoncella sia raffigurata anche nel pane dice tutto sulla forza del suo significato, più di mille parole. Quando, non tanto tempo fa nei paesi, fare il pane era un rito che si celebrava in casa, la fertilità era un concetto più univoco che racchiudeva intimamente l'uomo e la natura. La fecondità della terra e l'acqua erano tout-court sopravvivenza, in altre terre la carestia decima ancora la popolazione. Ricordo che quando ero bambino si usava, per celia, una maledizione atavica, l'anatema assoluto, peggiore della scomunica, diceva: "Anku ti currat s'annada mala".
Traduco: "Che tu sia perseguitato da un pessimo raccolto", significava augurare perfino la morte per fame. L'immagine più orrida nel mondo rurale era l'essere costretti a nutrirsi con le sementi accantonate.

Ma, oltre all'origine misteriosa che si perde nella notte dei tempi, che cosa accomuna la Pavoncella Sarda con i disegni extraterrestri di Nazca?

Talvolta le cose strane ci attraggono, tanto più se ci ricordano il gioco. Con una singolare iniziativa, Antonino Soddu, un artista a tempo perso, ha trovato le sensibilità e le generosità necessarie per realizzare un inedito gioco: nella terra del Sud Sardegna riarsa dalla ciclica siccità, con l'erba è stata disegnata a linee dolci una Pavoncella grande ben mezzo chilometro. E' nata tra i villaggi di Ussana e Donori, N 39° 25,46' - E 009° 05,64'.
Con un impianto a basso consumo, è stata sacrificata un po' d'acqua residua per dare un segnale. Un gesto semplice per superare le parole. Forse, certo inconsciamente, si è rinnovato un rito antico, tracciare nella terra un simbolo amico. Un gesto propiziatorio scritto nel cromosoma? Ci piace crederlo, questo spiegherebbe perché una proposta improbabile è stata realizzata in poco tempo e senza obiezioni, come un atto naturale. Uomini abituati al calcolo che, improvvisamente, si tirano su le maniche per fare, in silenzio, una cosa faticosa e senza utile.

Il lavoro creativo ha associato una nuova architettura del paesaggio con una cosa non meno importante, riscoprire e ridare lustro a un valore antico che ci fa assaporare le radici di una cultura più diretta e spesso trascurata. Il bello parla alla parte migliore di ognuno di noi e questa architettura del paesaggio è un impulso di vento fresco, un'idea leggera che può dare coraggio alla fantasia che, in altri tempi propulsiva, ultimamente è un po' in letargo.
L'iniziativa mi ha preso anche se ho fatto solo le riprese con l'aeroplano. Al disopra di tutto è stato stupefacente, in un mondo che non brilla per slanci acritici, il modo veloce e naturale con cui è stata portata avanti. Viene quasi da pensare ad un'altra Fenice che si è ricreata da sola sull'altra sponda del nostro mare. Non mi stupirebbe che ci sia un collegamento col mito arabico, occorrerebbe fare una ricerca, è innegabile il comune aspetto fantasioso e stupendo ed il significato strettamente univoco di rinascita.
Forse forse possiamo rivendicare la primogenitura e con essa il copyright del mito, quantomeno abbiamo il giusto diritto di dividere in parti uguali; anche se gli Arabici levantini fossero venuti per primi loro in Sardegna, tanto meglio, è ben provato che non venivano per dare. Noi invece siamo portati a farci scippare da quelli che parlano bene e non si fanno capire.
Scrivendo queste righe è stato stimolante e naturale pensare alla Fenice. Pur se la ricerca non potrà accertare la primogenitura del mito, possiamo insinuare il dubbio. Voglio solo ricordare un indizio probante, nelle case dei Sardi la Pavoncella è nume ancora presente, lo stesso non mi risulta per la Fenice nelle case arabe. Quantomeno l'enigma ci uncina per un'altra rinascita, un risveglio di interesse culturale per conoscerci più nell'intimo. Che sia per un altro intervento magico della Pavoncella-Fenice? Non priviamoci della fantasia.

Lasciamo i miti contesi e gli scambi culturali attraverso il Mediterraneo, torniamo alla magica rinascita, quasi motu proprio, del nostro nume laico. Tutte le persone che sono state coinvolte nell'iniziativa hanno aderito subito e senza esitazioni, tanto da farci pensare che una Pavoncella mite, che viene da un tempo lontano, possa ancora volare.
Vista dall'alto, la Pavoncella sembra chiedere attenzione nel compiere uno slancio dinamico: dalla terra arsa trae gli ultimi respiri di verde per porgere un fiore rosso sangue, il simbolo arcaico della fertilità.

Il disegno d'erba vuole esprimere essenzialmente due messaggi.
Per prima cosa un saluto antico di buon augurio destinato ai graditi ospiti che visitano la nostra terra ed a tutti i Sardi in arrivo ed in partenza dall'aeroporto di Cagliari-Elmas o sugli aerei in sorvolo, senza dimenticare quelli che ci andranno apposta (la posizione è stata scelta ad hoc).
Volare è bello anche per quel vago senso di estraneità alla terra che scorre sotto indifferente. Però, quando vediamo un nastro d'asfalto con cinesini o una pista sterrata, anche se non è quello il nostro approdo, abbiamo una buona sensazione di casa, di una cosa fatta per noi che ci unisce alla terra. Vedendo dall'alto la Pavoncella la sensazione è la stessa ma più intensa, di un regalo per noi, la terra che prima scorreva indifferente ora ci guarda.

La seconda e più urgente motivazione è quella di dare un segnale semplice per stimolare una progettualità fattiva per raccogliere l'acqua e affrancarci dalla siccità biblica che stride col nostro grado di sviluppo.
Come (all'incirca) dice il tormentone del telecomico assessore romagnolo, "fatti, non gesti autoreferenziali", occorre un disegno strategico risolutore per raccogliere e distribuire il bene vitale. Una task force con ampi poteri per FARE dighe e condotte e riparare quelle esistenti, non turpi orticelli, dilazioni di corto respiro ed enfatizzazioni delle misure d'emergenza.
In valore reale ed in sviluppo perso, le misure tampone costano più delle strutture durature. Oltre ai danni tarpanti per le colture, è blasfemo che un bacino imbrifero vasto come la Sardegna non riesca neanche a dissetare una popolazione di appena un milione e mezzo di abitanti, più o meno quanti vivono nella sola Milano. Pochezza stridente che si descrive da sola e pesa come un marchio sulla classe politica regionale. Quella nazionale non è da meno, una volta Roma era grande, costruiva acquedotti ammirati dal mondo e, per sardonica ironia, presenti oggi nelle nostre tasche ed in quelle degli abitanti di buona parte d'Europa.

Lasciamo da parte le lise associazioni tra tasche diverse, acquedotti e pane, la Pavoncella non è un rapace aggressivo, è un simbolo mite e leggero che viene da molto lontano, emblema degno di visibilità (non soltanto aerea) per dire, più forte e meglio di aggettivi stanchi, del diritto all'acqua vitale, funzione naturale di una res publica normale.

Luciano Piras